Riportiamo la primpa parte della splendida e dettagliata ricostruzione dell' emittente
pubblicata nel libro (1) di uno dei suo fondatori, Cristiano De Liberato, oggi affermato scrittore.
================================================= Prima puntata – (L’idea):
erano i primi anni ’70 e nei cinema passavano “American Graffiti”. Io con un gruppo di amici selezionati lo avremo visto una decina di volte o più. In quel film c’è un personaggio “Lupo solitario” che è un DJ di una radio privata americana…
…un giorno Maurizio B. arriva da noi e dice:
«Uè, ma perché non la facciamo anche noi una radio?» Era il 1974. Noi lo guardammo come se ci avesse parlato in un idioma sconosciuto, alieno… sì, alieno, marziano!
Dopo qualche tempo fece scalpore la prima trasmissione di
. Ovviamente Maurizio B. tornò alla carica ma, in quei tempi le radio erano ancora come dire… illegali. Radio pirata.
Facemmo notare questa particolarità ma lui non si scompose minimamente:
«Celeremo ogni cosa. Gli studi li facciamo qui a casa mia. Il trasmettitore lo costruisco io e l’antenna la nasconderò in una pianta… una yucca dovrebbe andare bene.»
Le cose andarono poi diversamente ma di quell’idea e di come nacque ci resta la battuta memorabile dell’antenna nascosta nella yucca.
Nei primi mesi del 1976 costituimmo il gruppo che avrebbe dato vita alla radio, la nostra, che è bene specificarlo ulteriormente, sarebbe nata in un limbo d’
illegalità. Tutto si sarebbe retto su una tolleranza più o meno concessa. Nulla ci fece desistere. Nemmeno le notizie che di tanto in tanto riportavano di qualche
stazione che, già operante, succedeva venisse chiusa, sequestrata e poco dopo riaperta per merito di qualche avvocato sognatore. In sostanza quelli erano i tempi dei
45 giri, delle dediche e dei carabinieri.
Nei primi giorni di un caldo giugno del 1976 abbiamo tappezzato la nostra zona (Precotto) con cartelloni fatti a mano su cui compariva un curioso numero con un font
simile a quello delle magliette dei giocatori di football americano. Quel numero era:
92
Curiosità:
quello era il periodo d’elezioni politiche, pertanto noi, sprovveduti dell’affissione abusiva, non sapendo come incollare i nostri manifesti abbiamo
chiesto ad alcuni attivisti politici (che nelle ore notturne popolavano, indaffarati e circospetti, le vicinanze dei muri della città) qual era il prodotto
utilizzato da loro, scoprendo così che si trattava di farina e acqua.
================================================= Seconda puntata - (La nascita):
Il gruppo che costituì la radio era composto da sei persone: Tony Z., Edmondo P., Maurizio e Franco C., Fabrizio e Cristiano DL. Alcune di queste figure avevano, chissà come, saputo dell’idea: il fondare una radio in zona Precotto era diventata notizia e perciò si erano unite a quelli che l’avevano pensata e sognata inizialmente. Maurizio e Franco C. per esempio provenivano da una radio all’epoca molto famosa,
.
La sede legale della radio fu posta nell’abitazione di Edmondo P., che all’epoca viveva in via Martin Lutero, 7.
Se ricordo bene, fu Tony Z. che fece costruire un trasmettitore da un suo conoscente, il nostro primo trasmettitore FM. Potenza 10 Watt, frequenza di trasmissione 91.900 Mhz (nel materiale propagandistico però i “megacicli” spesso venivano arrotondati a 92 Mhz) . La frequenza di 91.9 fu scelta perché prima di tutto nella nostra zona risultava libera e poi perché era quasi all’inizio della scala FM e si pensava che i radioascoltatori scandagliassero con più facilità quella zona della banda. Non ricordo che tipo di antenna fu la prima montata sul tetto del palazzo di nove piani (dove rimase piantata, se pur con le ovvie migliorie tecniche, per tutta la vita della radio), né la marca del mixer che però sono certo disponeva di cinque canali. Acquistammo due giradischi Lemco, un registratore a cassette Audiola e un microfono. Ognuno di noi saccheggiò casa propria, portando via i dischi di cui disponeva e lasciando così il proprio “stereo” orfano e inutile. Sulle copertine dei dischi avevamo aggiunto i nomi dei legittimi proprietari. Tutto era pronto.
La notte prima del grande giorno, il nostro D-Day, tornammo presso i muri su cui avevamo incollato i manifesti con la cifra 92 e vi attaccammo sopra un’altro manifesto con la scritta: FM. Ecco completata la fase misteriosa e incuriosente della faccenda: FM 92.
In una bella giornata soleggiata di giugno del 1976, verso le ore 17, fu acceso il trasmettitore.
Radio Villa Briantea era nata!
Curiosità:
il nome scelto per la radio fu “Radio Villa Briantea”. Perché? Beh, ricordate Maurizio B., quello della yucca? Bene, lui viveva in una avveniristica e moderna zona di Precotto, un condominio con campo da tennis, piscina e altre amenità e lì, per mezzo di un amico, Mario P., e che all’epoca era il portiere di uno dei palazzi del condominio siamo riusciti a ottenere dall’impresa costruttrice un localino posto al nono piano, in pratica sul tetto, del palazzo gestito da lui. Questo localino, un metro e mezzo per tre in cui vi erano gli sfiati dell’impianto di riscaldamento, per diversi mesi fu il nostro studio di trasmissione. L’impresa non volle affitti. Unica imposizione, chiamare la
radio come il condominio, perciò radio “Villa Briantea”.
Altra curiosità:
nel nostro primo adesivo compare un cane e il motto ” un boom di simpatia”. Questo adesivo è stato pensato e disegnato da Miranda M. l’allora
fidanzata di Tony. Il cane, un Bobtail, è stato scelto perché… già perché? Non ne sono sicuro ma credo che una motivazione valida possa essere quella che all’epoca
Miranda avesse proprio quel simpatico cagnolino cagnolone.
Questo adesivo fu croce e delizia per noi di RVB. Delizia, perché pur nella sua semplicità piaceva e andò letteralmente a ruba.
Croce, per via della lingua rossa del cane: se quella lingua fosse stata bianca o nera l’adesivo avrebbe avuto un costo di stampa più economico, essendo
costituito da un colore solo, invece per quella lingua… mannaggia, veniva considerato multicolore e quindi con ben altri prezzi di stampa.
================================================= Terza puntata – (Dopo le 10:00):
…e chi mai aveva parlato davanti a un microfono? Beh, qualcuno tra di noi c’era ma, per la maggior parte, eravamo digiuni.
Ciò che sapevamo… anzi, ciò che credevamo di sapere, l’avevamo imparato ascoltando le altre radio, quelle nate prima della nostra,
magari solo da qualche mese, ma comunque già in pista. E allora via con le dediche, con i successi del momento, e con le ragazze.
Adesso il “Festival bar”, eravamo noi! E per tutto l’anno.
In quell’estate del 76 le trasmissioni iniziavano intorno alle dieci del mattino e finivano a mezzanotte.
Il trasmettitore restava però sempre acceso. Se aveste scandagliato la frequenza 91.9 dopo mezzanotte avreste sentito… nulla. Un bel segnale pulito di silenzio,
che per gli addetti ai lavori o per altri pionieri dell’etere significava: frequenza occupata, cercatevene un’altra.
Dovevano trascorrere altri mesi prima che avessimo la disponibilità finanziaria per comprarci una curiosa apparecchiatura che era in grado di gestire in automatico
una ventina di cassette “Stereo 8″.
Tale marchingegno alternando l’ascolto delle cassette, saltando da una canzone all’altra, ci avrebbe consentito di mantenere una presenza musicale anche
nelle ore più profonde della notte, e cosa importantissima, senza la presenza di nessuno di noi.
Non disponevamo di sala di registrazione… credo che tra di voi la domanda venga spontanea: “per farci che?”. Ma per registrare gli spot pubblicitari,
che la giovin radio raggranellava tra i commercianti della zona.
Quindi dicevo, non disponevamo della sala di registrazione, perciò sfruttavamo le ore antecedenti l’inizio delle trasmissioni per creare gli spot
e quant’altro servisse alla radio.
Visto che il trasmettitore era sempre acceso, per impedire che le nostre “registrazioni” fossero diffuse per tutta Milano era sufficiente tenere spento
l’amplificatore che collegava l’uscita del mixer con l’ingresso del trasmettitore. Appunto.
Capitava così che maldestramente qualcuno non ricordasse tale basilare regola e “Milano” ascoltasse tutto,
ma proprio tutto ciò che veniva suonato e, ahimè, detto.
Fortunatamente erano ben poche le persone che alle nove del mattino pensavano alla radio come a una inseparabile compagna. Per fortuna!
Sottolineo che in quegli anni erano ben poche le emittenti che riempivano i giorni ventiquattrore su ventiquattro. E per emittenti intendo sia radio che televisioni,
quest’ultime poche, pochissime, ricordo solo Capodistria, Tele MonteCarlo, il canale della Svizzera Italiana e ovviamente la RAI.
L’emittenza privata era agli albori. Il fuoco però ormai acceso e il grande incendio, inevitabile, sarebbe scoppiato e dilagato in breve tempo. Curiosità:
le mamme! E’ strano come a seconda del soggetto una persona possa interpretare gli eventi.
Mi spiego meglio: le mamme di noi della radio erano in ascolto, quasi in adorazione, per tutto il giorno.
Non perdevano nulla. Registravano cassettine. Parlavano di noi dal parrucchiere, dal macellaio e col portiere… A ogni ora, loro, erano lì: ascoltavano,
si stimavano e controllavano.
Per loro eravamo degli eroi.
Le mamme del condominio Villa Briantea che invece, a detta loro, subivano la presenza della Radio, si lamentavano.
Alcune di loro asserivano di sentire la nostra musica nella lavatrice o nel forno!? Qualcuna era certa che le onde radio, le nostre, facessero appassire i gerani
sul balcone…
La radio disturba. Impedisce di vedere la televisione. Non si può più star tranquilli.
Non passava giorno che qualcuno di noi, in veste di tecnico, fosse chiamato a verificare negli appartamenti, senza peraltro riscontrare alcunché di anomalo.
Le potenze in gioco erano talmente irrisorie (e comunque i segnali puliti e ben trasmessi) che nulla potevano arrecare come danni o disturbi.
Ma tant’è…
Devo riconoscere però, che poi bastava che queste mammeinsofferenti s’accorgessero chi veramente eravamo per farcele amiche.
Noi, d’accordo, simboleggiavamo la novità corredata di tutte le sue paure, l’arcano mistero delle trasmissioni radio, gli hippies tecnologici… ma
in verità eravamo esattamente come i loro figli. Forse solo un po’ più sognatori.
Ah, le mamme!
================================================= Quarta puntata – (I jingles):
I jingles, questi sconosciuti.
Pippo Di Staso, il nostro Pippo, già nel 1975 passava nottate intere cercando di sintonizzare, in modulazione d’ampiezza (AM), il suo ricevitore su Radio Luxembourg.
Radio Lussemburgo, per chi non lo sapesse, è stata la nave scuola ispiratrice del modo di fare radio per quei tempi.
Gli stacchettini con frasi a effetto, i jingles appunto, tutti noi li abbiamo ascoltati, imitati e sognati proprio da quella mitica radio.
La fregatura, se vogliamo, era che Radio Lussemburgo si poteva ascoltare in Italia solo di notte perché, trasmettendo da molto lontano e in AM, bisognava attendere
condizioni favorevoli di propagazione del segnale che avvengono appunto quando il sole non c’è.
Non nascondo che i migliori jingles di Radio Lussemburgo li abbiamo registrati e passati su Radio Villa Briantea.
Erano belli, professionali, coinvolgenti: “Hit parade… the number one, one, one” “Stay with us. We are the best in town!” “On your radio dial”
Ovviamente qualcuno lo abbiamo realizzato anche noi (sempre sulla falsa riga di Radio Luxembourg) con risultati, a volte accettabili, e altre volte decisamente belli.
================================================= Quinta puntata – (Le trasmissioni – 1):
Maogallo era molto bravo. Dotato di una voce morbida, che ben si adattava a trasmissioni in cui forniva informazioni musicali. L’esperienza di
, da cui proveniva, si sentiva tutta. Era bravo, caspita! Troppo bravo.
Così iniziai a pensarci su. Volevo testare quanto “Mao” fosse capace nella gestione delle difficoltà.
Piccola premessa :
prima d’iniziare la propria trasmissione, ogni DJ, si sceglieva i dischi (quelli in vinile, eh?!) che avrebbe trasmesso. Poi, quando toccava a lui, portava tutti i dischi selezionati vicino al mixer per averli sottomano senza doversi allontanare per recuperali. A quei tempi i DJ facevano tutto: non c’erano ancora le cabine di regia.
Un giorno avevo terminato la mia ora di trasmissione e fui sostituito da Maogallo. Notai che tra i dischi che aveva scelto solo alcuni erano 33 giri, pochissimi uno o due. Tutti gli altri erano 45 giri. E lì mi venne l’idea.
Sfortunatamente per lui, notai che avrebbe iniziato proprio con i 33 giri. Esauriti questi, la trasmissione sarebbe stata basata esclusivamente con 45 giri.
Per poter essere “suonati” i 45 giri necessitavano di un adattatore, un pezzo di plastica cilindrico da innestare sul perno di rotazione del giradischi.
Ecco, io allora distrassi in qualche modo “Mao” e nel frattempo nascosi, incollandoli con del nastro adesivo sotto il banco di trasmissione, questi benedetti adattatori. Sottolineo che nascosi anche quelli di scorta che si trovavano insieme ai pezzi di ricambio vitali per le radio
di allora: puntine, cacciavitini e tanti altri piccoli accessori. Poi lo salutai e me ne andai. Corsi giù in piscina dove sapevo vi fosse una radio. Mi sedetti con gli altri ad ascoltare.
Il primo 33 finì, parti l’altro, l’ultimo e poi sarebbe toccato ai 45 giri. Non avevo detto nulla ai ragazzi che sedevano lì con me. Discutevo con loro ma avevo piantate le orecchie alla radio su ciò che combinava “Mao”…
…aveva già modificato la scaletta! Infatti sentii un 33 che non ricordavo d’aver visto nella sua lista. Io però ero tranquillo e beato, perché sapevo che comunque non era in grado, almeno inizialmente, di collegarmi alla sparizione e comunque anche se l’avesse fatto non poteva di certo lasciare il suo posto: lui stava trasmettendo in diretta e i brani dei 33 giri potevano a malapena garantirgli tre, quattro al massimo cinque minuti d’autonomia poi sarebbe stato necessario sostituire il brano con un altro. In cinque minuti non poteva scendere dal nono piano, cercarmi e poi risalire. Era impossibile!
Sfortunatamente, questa volta per me, quello era il periodo delle Ritchie Family che, mannaggia a loro, avevano realizzato un vinile intitolato “The best disco in town”. Durata dieci minuti (antesignano dei dischi mix). Molto bello, un successo che però mi allarmò non poco quando lo sentii trasmesso da “Mao”.
Ecco quelli erano i dieci minuti che gli servivano. Iniziai a preoccuparmi e infatti poco dopo “Mao” sbucò dalla portineria del palazzo, parafrasando qualcun altro si potrebbe dire: “come cervo che esce di foresta“. Ovviamente aveva intuito tutto. Sapeva che ero io l’artefice di quello scherzetto. Non starò qui a dilungarmi su ciò che mi disse, anzi urlò visto lo spazio che m’assicuravo ci fosse sempre tra noi, ma più o meno tutto verteva su quanto mi avrebbe modificato il mio modo di deambulare se solo mi avesse preso. Ma non mi prese.
Dovetti però, sempre a distanza di sicurezza, rivelargli dove avevo nascosto i famigerati adattatori.
Al di là di qualche ora o forse qualche giorno di comprensibile attrito, la faccenda degli adattatori non mutò affatto i nostri rapporti che ancor oggi sono retti da un’amicizia inscalfibile.
================================================= Sesta puntata – (Le trasmissioni – 2):
Arc-en-ciel alias Fràssatis era un uomo che all’epoca aveva già, più o meno, settant’anni. Quando ci contattò, millantando arcani desideri volti a una sua collaborazione con la radio, stupì tutti. E per questo motivo, il nostro stupore, fissammo un appuntamento per incontrarlo, conoscerlo e osservare dal vero questo signore e la sua ardita idea.
Prima di conoscerlo ci eravamo già fatti un’idea, sbagliata, ma che portavamo avanti con baldanza. Ma chi si credeva di essere questo vecchio? Ma cosa avrebbe potuto fare per noi? Che cosa c’entrava lui, con la nostra musica?
Si presentò e tutto fu chiaro. Era un gentiluomo d’altri tempi. Un sognatore, proprio come noi ma, i suoi sogni valevano di più dei nostri. Era un uomo che sapeva gustarsi la vita. Era carico d’esperienza e vitalità. Scoprimmo che era uno degli autori dei volumi della collana “I gialli Mondadori”, scriveva con uno pseudonimo dal suono americano e che giustificò dicendoci: “nessuno leggerebbe un giallo scritto da Filippo Boione” (il nome è di fantasia ma dovrebbe rendere bene l’idea su ciò che intendeva).
Con noi collaborò per un po’, diciamo un anno, fino alla “fine” della radio.
Aveva un’idea. Realizzare una trasmissione di un’ora che avrebbe riempito con aforismi, battute pungenti, esperienze di vita vissuta… amalgamando il tutto con musica anni 40, tipo Charleston e Dixieland. Un azzardo?
No, un successo!
La sua “Ora strampalata” ebbe tutto il seguito che si meritava. Era una bella trasmissione che… ti faceva sentire bene. Certo lui capiva poco di mixer, microfoni e giradischi ma trovava sempre qualcuno disposto a fargli da regia, da tecnico del suono.
Aveva una voce adatta alla radio. E aveva imparato immediatamente i “tempi” radiofonici.
“Ora strampalata” diventò un appuntamento classico del nostro palinsesto.
Più avanti, nelle prossime puntate, parlerò ancora di Arc-en-ciel, perché è stato protagonista con noi di altre esperienze ma ora voglio, anzi vogliamo, rivolgergli un affettuoso ricordo. Un saluto, quel saluto che poi gli eventi della radio non ci hanno consentito di fare a lui direttamente. Ma il suo ricordo, i suoi consigli di vita, il suo modo di prendere questa vita sono ancora con noi. Gli abbiamo voluto bene e ancora questo sentimento ci pervade quando pensiamo a lui. A distanza di così tanti anni ho un ricordo sbiadito circa lo pseudonimo che usava alla radio: alcuni di noi pensano fosse Fràssatis, altri sono certi fosse Arc-en-ciel. A me piace ricordarlo con quest’ultimo. Molti di noi, me compreso, all’epoca nemmeno avevano capito cosa significasse Arc-en-ciel. Di lui, dell’uomo, apprezzavamo l’istrionità e quel suo “savoir vivre”… tralasciando il tocco morbido e colorato del suo pseudonimo.
Sono sicuro che Arc-en-ciel, nonostante siano passati trent’anni, sia ancora di questa terra. Per uno come lui cavalcare il secolo di vita è sicuramente una sciocchezza, ma se proprio avesse deciso di abdicare da qui per portare un po’ di brio in altri… luoghi, beh, allora significherebbe che l’arcobaleno, che di tanto in tanto vediamo in cielo, è quel che lui desidera regalarci dal posto in cui si trova: il suo saluto.
Ti vogliamo bene… Arc-en-ciel alias Fràssatis.
…e chiudo, come Arc-en-ciel usava fare nella sua “Ora strampalata”: “Stretta la foglia, larga la zia… buonanotte ai suonatori e cosi sia.”
================================================= Settima puntata – (Le trasmissioni – 3):
“Buona notte Milano”.
Se qualcuno di voi ha ancora memoria di questa trasmissione potrebbe confermare ciò che noi tutti della radio sappiamo: rivoluzione. Fu una rivoluzione.
Condotta da Perry Stauder e Tony Berra (con nomi così non poteva che essere un successo) fu la trasmissione notturna per eccellenza e che, ovviamente, altre emittenti copiarono. I giornali e le riviste di settore amplificarono di certo l’eco della trasmissione ma ciò non toglie che l’idea e il modo di condurre era palesemente fuori dagli schemi e quindi stampa o non stampa la trasmissione non poteva far altro che riscuotere i consensi che da ogni parte arrivavano.
Verso la fine degli anni 70 ci voleva coraggio, intuito e professionismo per realizzare questo tipo di trasmissione. Innanzitutto l’orario: dalle ventidue alle ventiquattro (Buona notte Milano, no?)
Sì certo, tutti trasmettevano in quelle ore… ma non come Stauder e Berra.
Buona notte Milano sdoganava quell’orario apparentemente infelice, poco attrattivo rendendolo un appuntamento atteso, anzi dico di più, coinvolgente. Il loro modo di fare radio, era strano, incuriosiva, informava… insomma Stauder e Berra in quelle due ore salivano sulla macchina del tempo e arrivavano ai giorni nostri conducendo il programma e gli ascoltatori verso qualcosa di moderno. Gli interventi in diretta, le argomentazioni filo-conduttrici delle puntate da discutere e far discutere agli ascoltatori, sono ciò che oggi si fa alla radio ma non dimentichiamoci del periodo di cui sto parlando. Tony e Perry erano semplicemente trent’anni avanti. Ecco perché dire Buona notte Milano, oggi, non è semplicemente un ricordo. È molto di più: è attualità!
================================================= Ottava puntata – (Le trasmissioni – 4):
Dediche e annunci economici.
Ah, le dediche. Ve le ricordate? Ne avete mai sentito parlare? Ore e ore di trasmissione passate a trasmettere messaggi da Tizio a Caio con la scelta persino del brano musicale.
Avevamo fatto stampare dei foglietti di carta incollati insieme tipo blocchi note su cui, a turno, i volenterosi che rispondevano al telefono, annotavano i messaggi che il dj avrebbe poi letto in diretta. Le dediche erano una sorta di SMS e il cellulare era la radio.
Ne ho sentite tante, alcune davvero simpatiche, divertenti. Altre strane, messaggi in codice che solo gli interessati potevano comprendere. Devo però dire che quella che mi è rimasta in testa più di altre è una diventata mitica per un errore di lettura del nostro dj, Fabio V. A parziale discolpa di Fabio devo riconoscere che i messaggi erano talmente tanti che si faticava a star dietro a tutte le telefonate che ci arrivavano. Nella concitazione di quei momenti la bella scrittura andava un po’ in secondo piano.
La dedica era questa: “Da Peppa a Giuseppina dicendole che: la birra senza tappo evapora!” Non ricordo chi prese la telefonata ma costui (do per scontato fosse un uomo – le donne hanno tutte una bella calligrafia!), conscio di aver scritto un po’ in fretta, si era preoccupato di chiedere a Fabio: “Ho scritto male: ci capisci?” Fabio aveva risposto con un OK cubitale: sono un professionista, io!
E infatti lesse il messaggio: “Da Peppa a Giuseppina dicendole che: la birra senza troppo Europa!“.
Fabio, Fabio… ma cosa c***o hai letto!
C’era anche la rubrica degli annunci economici, intorno alle ore dodici di tutti i giorni (escluso il sabato e la domenica), durata quindici minuti.. Non so a quanti affari abbiamo contribuito certo è che nessuno si è mai lamentato con noi… a dire il vero però, nemmeno ci hanno mai ringraziato. A giudicare dal numero di inserzioni, in costante ascesa settimanale, doveva essere una rubrica di particolare successo. Ben presto dovemmo selezionare gli annunci in base alla data di prima pubblicazione, riservando spazi, così, a quelli più recenti.
Dediche e annunci ormai non se ne fanno più… Ad onor del vero, esiste ancora qualche emittente, vecchio stampo, che riserva qualche ora settimanale alla musica a richiesta ma… questa è tutta un’altra cosa.
Curiosità:
Durante il periodo in cui il nostro unico studio era “quel buco del nono piano”, disponevamo ovviamente anche lì, del telefono con il quale gli ascoltatori si mettevano in contatto con noi.
Le trasmissioni radio e i dialoghi telefonici però hanno lo spiacevole inconveniente di essere assai poco compatibili. Mentre qualcuno sta trasmettendo, tu non puoi, nel frattempo, rispondere al telefono a meno che non si voglia diffondere per radio ogni parola scambiata con il tuo interlocutore. Ma se il locale è uno solo, come si fa?
Esistono due possibilità:
1) rispondi tranquillamente al telefono come se niente fosse. La vicinanza con il dj ti consente di tenerlo sott’occhio e quando vedi che sta per “riaprire” il microfono ti inventi qualche scusa per porre in attesa l’interlocutore. “Mi scusi, resti un istante in linea ho una chiamata dalla regia.”, oppure: “Stiamo testando un nuovo modo per telefonare mi dica se, nei prossimi venti secondi, sente qualcosa…”
2) ti fai fare una prolunga per il cavo telefonico e con l’apparecchio esci dal locale. Per dove era ubicata la radio, “quel buco del nono piano”, significava telefonare dal pianerottolo del solaio.
================================================= Nona puntata – (L’evoluzione):
Radio Villa Briantea esordì nel giugno del 1976. I suoi studi… ehm, cioè… il locale… no! il buco da dove trasmetteva, si trovava al nono piano del palazzo, sul cui tetto era stata posta l’antenna e, come già detto, su quel tetto l’antenna rimase per tutta la vita della radio. Ci furono però delle evoluzioni circa gli studi.
Dopo qualche tempo “quel buco del nono piano” non era più sufficiente per contenere le apparecchiature, i dischi e noi stessi. Inoltre ci necessitava una sala di registrazione, autonoma. Non si poteva più registrare di notte o alle prime ore del mattino perché la radio, ormai, trasmetteva ventiquattrore su ventiquattro!
Così ci evolvemmo. Tornammo a bussare alle porte degli uffici della società proprietaria del complesso “Villa Briantea”. A tale società va riconosciuto il merito di averci sempre favorito e aiutato. Non era facile, in quegli anni, cavalcare l’entusiasmo di giovani visionari, perennemente fuori dagli schemi e che per il loro sogno erano disposti a compiere sacrifici anormali. Forse l’impresa costruttrice, molto famosa nel milanese, gestita da una signora caparbia e attenta, in fondo in fondo era come noi, ecco perché ancora una volta ci aiutò.
Nei sotterranei del condominio, nelle cantine, c’era un locale libero, abbastanza grande (qualsiasi dimensione, che superasse quella di una tenda canadese, per noi significava grande) e così ce lo diedero unitamente a una cantina, anche’essa inutilizzata, che divenne la nostra sala di registrazione. Per evitare il nostro via vai, per non arrecare fastidio ai condomini avevamo preso l’abitudine di entrare, attraverso una grata che dal livello del terreno e posta dietro al palazzo ci consentiva l’accesso senza troppi schiamazzi e fastidi. Infatti tale grata era direttamente collegata con il nostro bel locale, il nostro nuovo studio di trasmissione. Insomma, in parole povere, entravamo da un tombino. Voi potreste pensare “dalle stelle alle…” ma vi prego non lo fate. Avevamo raddoppiato, ma che dico?, triplicato i metri quadri a disposizione. Questo era l’importante. Stavamo crescendo. Dalle cantine il segnale saliva al trasmettitore, su al nono piano, per mezzo di un cavetto, celato in un sottotraccia che qualche volenteroso aveva individuato nei muri del palazzo. Per il condominio, quindi, impatto visivo zero.
Non so se vi è mai capitato di calarvi attraverso un tombino, beh, se l’avete fatto saprete di certo che la cosa non è certo agevole. Difficile scendere senza problemi, assai arduo risalire. Ne sa qualcosa Lucy, all’epoca unica nostra voce “donna”, che dovette reprimere la propria femminilità indossando sempre e comunque pantaloni lasciando gonne e similari a momenti più comodi. Le poche volte che decideva di scendere con abbigliamenti da donna una strana concentrazione di pubblico maschile s’assiepava sotto, con l’intento d’aiutarla, ma ho il sospetto che in quei casi il cavalierato c’entrasse proprio poco…
================================================= Decima puntata (Stretti fra tanti):
Il periodo di cui sto parlando è il 1976. Per questa puntata immaginatevi come poteva essere il dicembre del 76… Non ci riuscite? Vi aiuto un po’:
le radio nascevano come funghi, la televisione invece era ancora monopolio dei soliti noti (Rai, Montecarlo, Capodistria, Svizzera) ma, la sarebbe stata ancora per poco. Le idee e le genialità erano all’ordine del giorno.
Noi, noi di RVB intendo, crescevamo dal punto di vista del numero di ascoltatori ma non solo. I contratti pubblicitari diventavano sempre più numerosi e di qualità (vabbè qualcuno non ci pagò, approfittandosi della nostra giovane età e della poca esperienza delle cose “di moneta” ma va bene così… perché invece altre aziende – quelle serie – ci gratificarono ampiamente, compensando gli ammanchi dei furbetti…)
Con la pubblicità seria arrivò la disponibilità finanziaria che voleva dire: nessuna rinuncia nell’acquisto dei dischi, ottime attrezzature di “bassa frequenza” e buone anche quelle di “alta frequenza”… Per i non addetti ai lavori, spiego:
per “bassa frequenza” s’intendono le apparecchiature di studio (mixer, registratori, giradischi, microfoni, etc., etc.)
per “alta frequenza” s’intendono le apparecchiature di trasmissione (antenne, decodificatori, trasmettitori, etc., etc.)
Ahimè il proliferare di nuove emittenti, rese ben presto assai stretta la banda di frequenza. In breve tempo ci trovammo stretti e chiusi tra due radio che “pompavano” diversi watt. La battaglia quindi, nel breve, diventò sì sull’ascolto ma ancor più sulla propagazione del segnale. Ovviamente nel circondario della nostra zona, dove si trovava l’antenna, nessuno riusciva a superarci ma era sufficiente allontanarsi un po’ per perdere buona parte della nostra potenza. E così gli ascoltatori che, chissà perché?!, si erano fissati di ascoltarci anche in altre zone di Milano, dovevano industriarsi e far assumere alla propria radiolina o all’antenna collegata al sintonizzatore curiose posizioni naif per sentirci. Se non è amore e dedizione tutto ciò…
Dicembre dicevo, quello fu un mese assai nevoso. Nevicò spesso ma il clou lo fece l’ultimo dell’anno con una nevicata storica in cui Milano si fece tranquillamente avvolgere. Io e Pippo trasmettemmo dalle ventidue all’una e quindi vivemmo in diretta il passaggio al 1977. Poi andammo, con una Opel Kadett guidata dall’amico Salvatore (noi eravamo ancora minorenni quindi niente patente), a una festa a casa di un nostro ascoltatore con il quale siamo tutt’oggi ancora in contatto: Pino, conosciuto però con lo pseudonimo di Machine. Fummo ricevuti come vere e proprie star.
Curiosità:
naturalmente, come accade spesso quando non puoi permetterti una cosa, la cerchi disperatamente e invece poi, quando potresti ottenerla senza alcuna fatica, tu la snobbi ma è proprio in quel momento che è lei che ti si offre… Ed è così che accadde con le case discografiche: agli inizi non ci consideravano minimamente ma poi, con l’andar del tempo, furono loro a cercarci. Le parti s’erano invertite e, un po’ per la nostra esperienza che diventava sempre più selettiva e un po’ perché erano ormai molte a volerci omaggiare dei loro prodotti iniziammo a scegliere di collaborare con quelle più… meritevoli. E bastava veramente poco per farle salire o scendere nella nostra personalissima scala delle priorità.
Ricordo il cazziatone che facemmo a una notissima casa discografica di Milano che per un disguido non ci fece pervenire in tempo utile l’ultimo LP di Celentano (credo si trattasse di Disco Dance). Non era più un gioco. L’impegno verso i nostri ascoltatori era sacro e qualsiasi intoppo che ne impediva il regolare svolgimento andava evitato o quanto meno ridotto al minimo anche se ciò significava “toccare il tempo” a qualcuno.
Devo però riconoscere che è comunque grazie alle case discografiche se riuscimmo a ottenere permessi speciali e accessi per interviste e concerti ai più importanti eventi musicali del periodo. Tra tutti ricordo l’intervista che facemmo ai Pooh qualche ora prima del loro concerto “Poohlover” che si svolgeva al Teatro Lirico di Milano. Il luogo per l’intervista era il Jolly Hotel di Largo Augusto. La nostra squadra era composta da: Max, Lucy ed io. Max in qualità di intervistatore, io come tecnico e Lucy come fan.
In una sala del primo piano dell’albergo, caratterizzata dalla presenza di un lunghissimo tavolo attorno al quale ci disponemmo, insieme agli inviati delle altre radio, in attesa dell’arrivo degli artisti, stavo preparando il registratore… (piccola nota: qualcuno venne con registratori ridicoli, a cassetta, altri come noi con registratori professionali a bobine, le cosiddette “pizze”, del peso però di qualche “tonnellata” tipo il Revox che scarrozzai in metrò avanti e indietro e alcuni, pochissimi, con registratori espressamente progettati per quel tipo d’utilizzo come il famoso Nagra)…ritornando a noi, mentre stavo preparando l’armamentario s’avvicinò un capellone con un 45 giri in mano asserendo d’essere un cantante e invitandoci a fargli un’intervista. Immaginatevi il mio sguardo… dopo averlo scrutato per bene gli dissi che non disponevamo di nastro sufficiente e che quindi non potevano fare nulla (ovviamente con la “pizza” che mi ero portato avrei potuto registrare fino all’indomani ma tant’è…). Intervenne Max il quale mi convinse a fare questa benedetta intervista che feci solo perché così avrei potuto regolare al meglio il registratore. Intervistammo così questo personaggio che all’epoca era il supporter dei Pooh, cioè il cantante che si esibiva sul palco prima del gruppo. Alla fine ci regalò il suo disco (ascoltandolo poi, ci rendemmo conto che sì, c’era della stoffa e probabilmente avrebbe anche potuto fare un discreto successo).
Vi state domandando chi era questo capellone?: Gianni Togni!
Alla fine arrivarono i Pooh (solo 3 perché Stefano era in teatro a supervisionare gli strumenti e le apparecchiature) Fu una bella esperienza, noi seduti allo stesso tavolo con “loro”. Uscimmo dal Jolly insieme ai Pooh e con un loro personale invito per il concerto. Max e Lucy accettarono e si godettero lo spettacolo io invece tornai a casa con il mio Revox da una tonnellata… sapete perché? Perché non avevo il permesso di restare fuori fino a tardi! Osservai Dody, Red e Roby prendere al volo un tram e mi allontanai verso il metrò…
…e siamo giunti al 1977. Questo è l’anno in cui la RAI termina la sperimentazione e trasmette tutti i suoi programmi TV a colori.
E noi di RVB? Beh noi, giorno per giorno, ci affermiamo come emittente radiofonica. La gente ormai inizia a conoscerci e ad apprezzare i nostri programmi e le nostre voci. Siamo consapevoli che stiamo imparando “il mestiere”, migliorando qualitativamente sia dal punto di vista tecnico che in quello, molto importante, dei contenuti. Le riviste di settore si accorgono di noi e ne parlano. Entriamo a far parte di un pool di radio milanesi, chiamato “Milano cinque” in cui una nota agenzia pubblicitaria milanese si occupa dell’aspetto commerciale della pubblicità, promuovendoci presso notissimi marchi italiani.
Le radio coinvolte in questa esperienza erano:
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e Radio Villa Briantea. E’ con Milano Cinque che gli spot passano da “rionali” a nazionali. Marchi come Campari e Star, per citarne alcuni, diventano messaggi quotidiani che rendono il tutto più… importante.
Si continua con trasmissioni irrinunciabili come quei quindici minuti dedicati agli annunci economici, poi l’ora italiana di Fabio, il soul-funky nelle trasmissioni mie e in quelle di Pippo, la Hit Parade domenicale di Perry, il preserale di Fabrizio, i giochi di Senzanome, Buona notte Milano di Tony e Perry… Oramai anche gli addetti ai lavori, i DJ delle altre radio, ci conoscono e alcuni di loro si propongono… Come già successo qualche mese prima con Lucy, Max e Perry nella nostra squadra si aggiungono Patrizio e Augusto. Nel nostro studio di trasmissione c’è sempre movimento. Tra fidanzate, tecnici, artisti, DJ e curiosi ben presto ci si rende conto che il nuovo locale (ricordate? la cantina con accesso dalla grata…) non è adatto. Ci vorrebbe qualcosa di più grande. Continuiamo a lavorare, sviluppando la radio al meglio delle nostre capacità e nel frattempo ci guardiamo intorno per trovare un luogo più adatto. Anche l’apparecchiatura di bassa frequenza (mixer, giradischi e registratori) utilizzata fino a quel momento non sembra più essere all’altezza delle esigenze sempre più professionali con le quali ci confrontiamo giornalmente. Prendiamo contatto con un costruttore di mixer, Massimo Munter, e ci innamoriamo all’istante dei suoi prodotti. Piccola nota negativa: le dimensioni delle sue apparecchiature non ci lasciavano scelta. Se avessimo portato un suo mixer nel nostro studio avremmo dovuto uscire noi. Ci serviva una nuova sede, capiente a sufficienza per soddisfare le idee e ogni tipo di situazione che una radio affronta nel corso della giornata.
Dalla pubblicità ricavavamo fondi, ma mai troppo sufficienti, gli ascoltatori ci premiavano con un affetto grande e noi eravamo talmente carichi che ci sentivamo proprio pronti a fare il grande passo: ci serviva una nuova sede ma non solo. Anche una nuova antenna, più performante e naturalmente un trasmettitore più potente. Eravamo ben consci che ci aspettavano sacrifici, grossi sacrifici, sopratutto in termini economici. “Milano cinque” comunque ci diede la spinta necessaria a fare tutto ciò che andava fatto. Le nostre giornate passavano in apparente tranquillità ma il nostro obiettivo, oramai, era onnipresente e ben chiaro davanti ai nostri occhi. Iniziavamo a lavorare per diventare… grandi.
================================================= Dodicesima puntata – (“A uanta cala minuta”)
Come era già successo con Arc-en-ciel / Fràssatis, ricordate la sesta puntata?: ricevuta una sua telefonata, chissà perché, fra tanti che si proponevano, decidemmo d’incontrarlo e ne nacque prima di tutto un’amicizia e una stima viscerale oltre poi a un raffinato sodalizio professionale.
La stessa cosa poi si ripeté con Salvino.
Tra i nostri ascoltatori c’erano militari che, in servizio di leva (all’epoca ancora obbligatorio), vivevano lontani dalle loro terre. La radio ovviamente faceva loro compagnia… erano tanti quelli che ci telefonavano. Fra questi ci incuriosì Salvino, il quale asseriva d’essere un DJ di una radio siciliana (CTA FM Stereo), lui infatti era di Scicli (RG). Alla fine l’invitammo alla radio. Nonostante la centrifugata che il servizio militare provocava ai ragazzi, sopratutto quelli catapultati così lontano da casa come la sorte aveva riservato a Salvino, egli ci colpì immediatamente. Il suo modo di parlare e, intuimmo, di fare radio era diverso dal nostro. La cosa eclatante del suo modo di trasmettere era che non necessitava di jingles. Lui era il jingle:
“…Qui dagli studi di RVB, la fonte del suono dell’Europa centrale…” Ecco questa è una delle innumerevoli frasi con le quali condiva le sue trasmissioni. Queste, unite a un’enfasi ricercatissima proiettavano il parlato in una dimensione elevata in cui il DJ diventava continuazione e completamento della musica.
La vicinanza della sua terra d’origine, la Sicilia, a Malta fece si che usasse a volte termini in lingua maltese. Ricordo che spesso al segnale orario in italiano seguiva la traduzione in maltese: “A uanta cala minuta…”.
Ma la frase storica, quella che non dimenticherò mai, è quella che utilizzò per presentare un brano all’epoca molto famoso e che ci lasciò, tutti quanti, di stucco:
“…e ora ascoltiamo i: Michele Legno per Flotta con la canzone Notizie di seconda mano…”
A chi si riferiva, Salvino? Non l’avete intuito? No?
Ai Fleetwood Mac e al loro brano Second hand news.
Geniale, vero?
Curiosità: Salvino era militare di leva presso la caserma di Viale Suzzani a Milano. Parlandone con i commilitoni, circa la sua collaborazione con una radio della città, arrivò all’orecchio del suo tenente questa voce. Salvino già ci aveva raccontato che la vita in caserma non era delle più facili per vari motivi e uno fra questi era un ufficiale molto rigido, il tenente appena menzionato. Questi però, incuriosito dalla situazione accattivante in cui si trovava il proprio sottoposto, fece leva, non so con quali mezzi, affinché Salvino gli desse accesso alla radio…
La cosa curiosa è che in radio si comportavano come fratelli ma poi in caserma gli equilibri venivano presto ristabiliti e se da noi di davano del tu, in caserma si mandavano “a quel paese” (sempre nel rispetto delle gerarchie militari). Poi però anche Enzo, questo il nome del tenente, si ammorbidì così da rendere più facile la vita di caserma a Salvino e divenne nostro amico al punto che poi non aveva più bisogno del lasciapassare “Salvino”. Anche Enzo era lontano dalla sua Roma e la radio servì anche a lui per diluire un po’ la nostalgia di casa.
================================================= Tredicesima puntata – (“Aria netta non tiene paura dei tuoni”)
E finalmente trovammo il nuovo locale per la radio, ma che dico locale… localone, anzi quattro locali (ricavati in seguito) grandi, adatti e luminosissimi. Basta cantine e solai.
Va bene, va bene… lo so che altro non era che un seminterrato ad altezza box ma era… immenso! Voi direte: “e questo ti basta per renderlo così appetibile?” Certo! Vi sembra poco?
Potevamo dar sfogo a tutte le idee e le necessità che la radio chiedeva.
Il localone aveva una superficie di circa ottanta metri. Era una quadrato perfetto con un ingresso dotato di una porta a vetri luminosissima (scusate se insisto su questa storia della luce ma, capirete, dopo mesi trascorsi in cantina…)
Sapevamo esattamente ciò che ci necessitava: un locale regia/trasmissione, una sala registrazione, una sala interviste e un locale d’accoglienza con centralino. L’accesso alla sala regia e a quella per le interviste dovevano essere indipendenti senza nessuna interazione tra le due. Nelle pareti di separazione doveva esserci un vetro per la necessaria visuale che la regia deve avere sempre sulla sala interviste. Decidemmo di far eseguire le pareti in legno in modo da evitare qualsiasi lavoro in muratura che avrebbe complicato notevolmente, per via della burocrazia necessaria, i lavori dilatandoli nel tempo in maniera incontrollata. Contattammo un falegname della zona al quale sottoponemmo le nostre richieste. Disegnammo uno schizzo in cui iniziammo a far prendere forma ai nostri sogni.
Era più o meno così.
I lavori richiesero qualche mese e così avemmo modo di frequentare per diverso tempo questo falegname con il quale poi diventammo amici. Mentre lavorava ci raccontava della sua vita, dell’esperienze passate. Ogni tanto se ne usciva con motti e massime d’altri tempi così come antico e puro era il suo nome: Clementino (per non parlare del cognome). Non credo abbia mai compreso appieno cosa diavolo dovessimo fare noi in quei locali, comunque il lavoro lo eseguì in modo impeccabile, rispettando ogni nostra indicazione e volontà. Alla fine ci consegnò quattro locali esattamente come li avevamo immaginati. Delle tante storie raccontate, degli innumerevoli proverbi e detti popolari con i quali condiva ogni suo discorso, uno s’è stampato indelebilmente in noi, forse il più importante, la regola d’oro di vita che se tutti noi riuscissimo a seguirla ogni cosa probabilmente diventerebbe più facile: agiamo sempre onestamente in modo d’affrontare chiunque a testa alta. Detto alla sua maniera suonerebbe così: “aria netta non tiene paura dei tuoni“.
================================================= Quattordicesima puntata – (“Taglierini, moquette e trielina”)
Ah, che bello. Ora avevamo i nostri quattro locali e dovevamo iniziare a prepararli per l’uso. Per esigenze acustiche optammo per un rivestimento sulle pareti in agugliato (una sorta di tessuto), al posto degli efficacissimi ma antiestetici contenitori per le uova, e una bella moquette a pelo alto per il pavimento. Acquistammo la moquette da un nostro cliente che faceva spot con noi e per il montaggio si incaricarono due tizi che asserivano l’avrebbero fatto gratis e bene: io e Fabrizio.
Qualche anno prima avevo avuto modo d’osservare un vero professionista del settore, un posatore coi “baffi” il quale m’aveva rivelato i segreti del mestiere…
Non avevo però mai avuto l’occasione di sperimentare ciò che mi sembrava d’aver appreso. L’occasione infine era arrivata. Prima convinsi Fabrizio e poi gli altri della radio: potevamo farcela!
Tutti fiduciosi ci apprestammo alla posa.
Con Fabrizio l’intesa fu fin da subito, perfetta. Entrambi abituati a lavori manuali procedevamo spediti tra spatole, colla e taglierini. Impiegammo tre giorni: i primi due per posizionare alle pareti l’agugliato e l’ultimo per la posa sul pavimento della moquette vera e propria. Era di un bel tessuto, a pelo alto, di colore marrone. Tanto bella quanto… rognosetta. Le giunte, i tagli e la colla sembravano fatti apposta per complicare, per rendere più difficoltosa l’intera operazione. Ma perché diavolo ne avevamo scelta una così difficile? Boh?
Comunque alla fine riuscimmo nell’impresa. La cosa comica fu che… ma voi sapete come si tolgono le sbavature della colla dalla moquette?
Il mio insegnante (quello coi baffi) mi aveva istruito per bene: “la colla si toglie con trielina e un pezzo di moquette da sfregare sul punto da pulire”.
Si vede che di macchie ce ne erano tante, disseminate trai i quattro locali della radio, sì perché a posa terminata, quando ci toccò dare di trielina, ne utilizzammo una quantità così elevata che i suoi vapori respirati a più non posso, letteralmente ci ubriacarono lasciandoci lì a ridere come due veri babbei, senza apparente motivo, per poi subito dopo discutere, seri, del perché, del percome e delle problematiche esistenziali di noi posatori professionisti…
Ragazzi che ciucca!
Del super lavoro eseguito ho recuperato una fotografia che in qualche modo spero possa rendere l’idea…
Vedrete le pareti della sala interviste, ricoperte dall’agugliato.
Non posso mostrarvi nulla relativo al pavimento ma… fidatevi, la moquette a pelo alto, quella dell’imbriacatura, c’era!:
N.B.: ringrazio Pippo per la fotografia nella quale, è bene precisare, si nota un’apparecchiatura provvisoria.
Nella versione definitiva il banco di regia sarà tutta un’altra cosa. Curiosità:
di recente ho avuto modo di parlare con Massimo Munter, il costruttore delle nostre apparecchiature di regia, il quale mi ha rivelato un particolare curioso e di cui non avevo davvero notizia. Il mixer che vedete nella fotografia, come matricola aveva il numero 0001, cioè è stato il primo (di quella serie) ad essere venduto dalla Munter.
Fu assemblato alla mattina e poi consegnato e installato nel pomeriggio presso i nostri studi.
================================================= Quindicesima puntata – (“Due fave per un piccione )
Nella nuova sede della radio potevamo dar sfogo ai desideri fino allora repressi circa apparecchiature che nella sede precedente nemmeno potevano essere immaginati.
Banchi di regia da dodici canali, doppi Revox (registratori a nastro), tripli giradischi a partenza immediata, quadri a incroci per deviare ovunque i segnali audio,
equalizzatori per ogni canale, compressori microfonici, doppi registratori a cassette, pre-ascolto e interfono integrati, barre di led colorati che scandivano con
il loro sali-scendi l’andamento della nostra musica, linea telefonica direttamente connessa con il mixer, eccetera, eccetera…
Bello vero?! Sì ma tutto questo era ancora di là da venire perché, terminata la suddivisione dei locali, restava da pianificare il trasferimento del segnale che,
una volta uscito dal mixer, doveva raggiungere l’impianto di trasmissione (trasmettitore e antenna) posto a poco più di 2 chilometri (in linea d’aria) dalla nuova sede. Come fare?
Ma con un bel ponte radio, ovvio no?
La distanza da coprire era irrisoria. Comprammo un piccolo trasmettitore che con pochi watt avrebbe di certo coperto la distanza.
Decidemmo di far costruire le due antenne necessarie, quella trasmittente e quella ricevente, con una tecnologia che assicurava una resa ottimale a scapito però dello spettro
di frequenza: detto in parole povere facemmo fare due antenne altamente selettive, cioè funzionavano esclusivamente per una frequenza definita e solo per quella.
Decidemmo che la frequenza del ponte radio poteva benissimo rientrare nella banda FM e così ne scegliemmo una che risultava libera.
Facendo così, inoltre, ci assicuravamo un’altra piccola “presenza” sulla banda: due piccioni con una fava!
Spesso ripenso al perché e al percome scegliemmo quella particolare frequenza e ancora oggi pur non trovando sufficienti motivazioni per condannarci mi accorgo che comunque
ed evidentemente la soluzione non poteva essere quella.
Il problema, fortunatamente, si presentò qualche giorno prima dell’accensione del ponte radio… problema? Ah sì, perché voi non sapete ancora qual era la frequenza che scegliemmo.
Indovinate un po’…
Avevamo scelto, per il ponte radio, la frequenza di 99 Mhz.
Voi direte: “ma è la frequenza di
!”. Sì, ma prima d’usare i 99, Studio 105 trasmetteva, ma guarda un po’, proprio sui 105 Mhz.
E chi poteva immaginare che quelli là avevano scelto di cambiare frequenza, spostandola proprio su quella del nostro ponte radio?
Inutile aggiungere che uscirono sui 99 con una discreta enorme quantità di watt contro i quali il nostro misero trasmettitorino e le due antenne selettive potevano fare ben poco.
Comunque riconosco che se non fosse successo in quei giorni, di sicuro qualche problema l’avremmo avuto in seguito, perché le radio all’epoca nascevano come i funghi.
Prima o poi, Studio 105 o un’altra radio, di certo si sarebbe installata su quella bellissima frequenza.
I nostri due piccioni, da prendere con una fava, erano andati a farsi benedire!
Okay, allora dovevamo risolvere il problema e farlo in maniera definitiva. Basta ponti radio.
Ci venne un’idea: e se fosse possibile collegare le due postazioni (studi e trasmettitore/antenna) sfruttando un doppino telefonico?
Contattammo la SIP, l’allora unico gestore telefonico italiano. Ci risposero che sarebbe stata una cosa ardita ma si poteva tentare.
C’erano però altri problemi da risolvere.
Il segnale avrebbe necessariamente attraversato diversi centrali di smistamento inoltre, il cavo telefonico, non essendo schermato avrebbe potuto “sporcare”
il segnale interagendo con apparati elettrici incontrati durante il tragitto.
Noi comunque ci provammo.
Fu di grande aiuto l’esperienza e la capacità del costruttore del mixer, il sig. Massimo Munter, che s’inventò un artifizio.
Nel dettaglio non so come fece ma a grandi linee la soluzione da lui escogitata fu quella di trasformare il segnale, prima che uscisse dal mixer, in qualcosa di poco permeabile
ai disturbi, per poi ritrasformarlo (una volta arrivato a destinazione) in qualcosa di miracolosamente pulito e nitido.
E l’artifizio funzionò!
================================================= Sedicesima puntata – (“Tutto nuovo: anche il nome )
Sì, vabbè ma tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare, no?
Allora la situazione era questa: i nuovi studi quasi pronti ma, pur avendo trovato una soluzione tecnica per trasferire il segnale fino all’antenna
(vedi puntata precedente), occorreva del tempo per eseguire il tutto.
Il periodo era giugno e si temeva che non fosse possibile effettuare il cambio di studi prima delle ferie. Per di più, in tutto questo meccanismo, si stava per inserire una novità
dagli effetti dirompenti per tutti noi.
C’erano stati dei contatti con un’altra emittente (
) che trasmetteva sugli 88 Mhz.
L’idea, non so di preciso chi l’abbia avuta ma certamente fu condivisa da entrambe le parti, era di unirsi per sottolineare una certa presenza un po’ più marcata e significativa.
Inoltre la vicinanza della loro frequenza (88) con la nostra (92) sembrava fatta apposta.
Nasceva così, se pur in forma embrionale, una rete radiofonica o, come si direbbe oggi, un network.
Ai giorni nostri sentir parlare di network è normale, scontato, automatico, ovvio… ma nel 1977?
No, non lo era affatto.
Ci volevano menti raffinate e avanti, precorritrici dei tempi e, chissà come, tali personaggi c’erano sia da “noi” che da “loro”.
Ragionandoci sopra ora, a distanza di secoli, mi viene spontaneo considerare ciò che Punto Stereo e Radio Villa posero sui piatti della bilancia, offrendo il meglio per ottenere
di più, una consacrazione o se vogliamo una parte importante nella scena radiofonica che, in quegli anni, si stava componendo a Milano e in tutta Italia.
Punto Stereo poteva offrire una frequenza più “coperta” e quindi poteva darci quella propagazione che per tanto ci era mancata.
Noi invece offrivamo studi avveniristici e moderni, che non sfigurerebbero nemmeno oggi (e questa non è una esagerazione! In seguito avrete modo di constatarlo personalmente).
Come si poteva chiamare la nuova emittente? Radio Villa Briantea o Radio Punto Stereo? La condizione delle due radio era paritaria e nessuno voleva rinunciare alla propria identità.
L’escamotage fu quello di scegliere, anche se a malincuore e questo valeva per entrambe le radio, un nome nuovo.
E’ vero che così facendo si perdevano le identità iniziali ma la novità, il network, era cosa assai interessante e pareva offrire enormi potenzialità.
Nella quarta puntata si è parlato di Radio Luxembourg, descritta come nave scuola per noi giovani DJ e infatti lo fu.
Se ricordate ho parlato di come, di notte, sfruttando la propagazione del segnale AM, le musiche e gli speakeraggi della “mitica” arrivano fin qui (in Italia) a gratificarci,
facendoci sognare su come si doveva fare e su cosa potevamo fare.
In effetti noi ascoltavamo Radio Luxembourg perché, molto banalmente, era l’unica che arrivava fin qui ma, se avessimo potuto scegliere (e se avessimo avuto la macchina del tempo)
di certo ci saremmo fiondati su altre radio un po’ più simili a noi o a ciò che la legislazione italiana ancora considerava fossimo: pirati!.
Nel 1974 quando in Italia esordì la prima radio non fu inquadrata come “privata”.
No! Fu definita “radio pirata” e anche le altre che nel breve la seguirono dovettero scontrarsi con uno “status quo” che stentava a riconoscer loro la giusta collocazione.
Radio Luxembourg invece, negli anni 70, aveva ormai ben poco della radio pirata. D’accordo era nata come tale e stiamo parlando del 1933,
epoca in cui la legislazione europea era poco incline a favorire quel tipo di libertà, infatti per aggirarne gli ostacoli trasmetteva i propri programmi, diretti prevalentemente
verso il pubblico inglese, dal Lussemburgo.
Noi ascoltavamo Radio Luxembourg ma sapevamo che non era stata l’unica e anzi, ben altre , in modi assai rocamboleschi, l’avevano preceduta.
Sto parlando delle radio off-shore degli anni 60 che per poter “campare” aggiravano le limitazioni legislative trasmettendo da vecchie motonavi ormeggiate al di fuori
dalle acque territoriali.
Ci ispirammo quindi a una di queste che durante l’intero periodo d’attività, non cambiò mai il proprio status di “pirata”.
Volete mettere il fascino di una emittente e di un DJ che trasmette a bordo di una nave, avvolta dalla nebbia, nel Mare del Nord?
E così decidemmo di chiamarci come una di loro, forse la più famosa o quella che ci aveva colpito nella sonorità del suo nome:
(dove proseguiamo la storia-ndr).